Sviluppi della Class Action in Italia
Proposte legislative e possibili futuri sviluppi
Di recente, l’istituto della class-action in Italia è stato destinatario di nuove attenzioni poiché la Camera dei Deputati ha approvato – con una larghissima maggioranza – una proposta di legge (la n. C1335, presentata il 9 luglio 2013) che apporterebbe una serie di modifiche alla disciplina attuale, così da avvicinarla a quella statunitense. La proposta in discorso è ora all’esame del Senato (disegno di legge n. S1950, trasmesso dalla Camera dei Deputati al Senato il 5 giugno 2015).
La necessità di riformare la disciplina dettata dall’art. 120-bis del Codice del Consumo consegue alla constatazione del fatto che le attuali limitazioni soggettive e oggettive, in moltissimi casi, hanno impedito di ricorrere allo strumento dell’azione di classe.
Le novità che caratterizzano la riforma in discussione sono numerose.
In primo luogo, la disciplina dell’azione di classe non sarebbe più collocata all’interno del Codice del Consumo, bensì nel corpo del Codice di Procedura Civile.
Tale variazione – al di là del dato meramente formale – consentirebbe di “sganciare” l’istituto della class-action dalla qualifica soggettiva di consumatore, ampliandone così la portata applicativa: in altri termini, ciascun soggetto potrebbe agire in giudizio attraverso un’azione di classe.
In secondo luogo, il testo di legge prevede espressamente un allargamento della platea dei soggetti legittimati passivi: l’azione potrà essere promossa nei confronti delle imprese, di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità.
In terzo luogo, vengono anche ampliate le ipotesi di illecito sulla base delle quali fondare l’azione, sino a comprendere tutti i casi di responsabilità aquiliana.
Di conseguenza, diverrebbe ammissibile una class-action che miri a tutelare diritti personali quali – ad esempio – la salute, la riservatezza, l’integrità fisica e la libertà personale.
Infine, in adesione al modello statunitense, viene espressamente previsto che il compenso dei difensori debba corrispondere a una percentuale, compresa tra il 0,5 e il 9%, dell’importo riconosciuto agli aderenti a titolo risarcitorio, in funzione del numero degli stessi.